Lev Yashin
-- Il Numero Uno --
Il 27 maggio 1971 lo Stadio Lenin di Mosca, l'attuale Luzniki, è tutto esaurito. In tribuna ci sono più di centomila persone ma pare che la richiesta di biglietti sia stata sei, se non addirittura sette volte superiore. In campo la Dinamo Mosca sfida una selezione di All-Stars, capitanata da sir Bobby Charlton, che può contare sull'apporto di discreti footbalisti quali Beckenbauer, Eusebio, Muller e Giacinto Facchetti. C'è anche un francese, si chiama Jean Djorkaeff ed ha un figlio, Youri, che ha solamente tre anni, e che scriverà pagine importanti della storia calcistica transalpina, lasciando ottimi ricordi anche sulla sponda nerazzurra del Naviglio.
E' la gara d'addio del più grande portiere del XX secolo (FIFA docet), il primo e tutt'ora unico a vincere il Pallone d'Oro, nonché uno dei primi a dare una definizione più moderna al ruolo. Ormai và per i quarantadue anni ed è già una Leggenda. Per la cronaca il "Resto del Mondo" pareggia in rimonta grazie alle reti dell'ungherese Kalman Meszoly e del bulgaro Petar Zhekov, ma a quel punto della gara lui ha già abbandonato il terreno di gioco cedendo i guanti a Vladimir Pilguy, che ne raccoglierà l'eredità tra i pali della Dinamo per il successivo decennio.
Lui, è Lev Ivanovich Yashin.





Nome
cognome
Nato a
Data di nascita
Nazionalita'
sport
ruolo
Lev Ivanovich
yashin
mosca
22/10/1929
Sovietica
Calcio
Portiere
carriera
1949-1971
Dinamo Mosca
in nazionale
1954-1967
78 p
palmares
Camp. Sovietico
Coppa URSS
Camp. Sovietico
Camp. Sovietico
Oro Olimpico
Camp. Sovietico
Camp. Sovietico
Europeo
Camp. sovietico
Pallone d'Oro
Coppa URSS
Coppa URSS
1952-1953
1953
1954
1955
1956
1957
1959
1960
1963
1963
1967
1970
Sfiora il metro e novanta, ha due mani grosse così e la sua divisa completamente nera, berretto-maglia-pantaloncini, non fa che aumentare quella sensazione di superiorità fisica. Non a caso diventa il Ragno Nero: sì perchè grosso è grosso, ma possiede anche un'elasticità fuori dal comune e tutto ciò lo trasforma in un pararigori eccezionale. Ora, scavare negli archivi dei campionati sovietici degli anni Sessanta è tutt'altro che semplice, ma si dice che nel corso della sua carriera sia riuscito a neutralizzare più di centocinquanta tiri dal dischetto. Di sicuro, una delle sue vittime è Sandro Mazzola.
Siamo nel Novembre del 1963 ed allo Stadio Olimpico di Roma l'Italia e l'Unione Sovietica si giocano il passaggio del turno nelle qualificazioni all'Europeo del 1964, la cui fase finale si disputerà poi in Spagna. Gli Azzurri sono usciti con le ossa rotte (nel vero senso della parola) dal Mondiale cileno dell'anno prima, dopo quella che è passata alla storia come la "Battaglia di Santiago".
Una spedizione "sui generis" quella italiana, a partire dal particolare duo chiamato a prendere le decisione tecniche. Da una parte c'è Paolo Mazza. E' stato giocatore ed allenatore, ma per tutti è il "Mago di campagna", un presidente in grado di acquistare giovani semisconosciuti a due lire, rivendendoli successivamente a cifre folli. Per un ventennio abbondante è l'anima della S.P.A.L. ed è sostanzialmente lui, assieme ad un altro personaggio tutt'altro che sobrio come il principe Lanza di Trabia, proprietario del Palermo, a dare vita al calciomercato. Alla guida della Nazionale, Mazza ci finisce soprattutto grazie allo strettissimo rapporto con Giuseppe Pasquale, altro ferrarese doc, ex dirigente della sua S.P.A.L., nonché attuale presidente della F.I.G.C..
Dall'altra parte invece troviamo Giovanni Ferrari. Negli anni Trenta è stato una sublime mezzala. Ha vinto otto campionati italiani partecipando, naturalmente, al quinquennio d'oro della Juventus ed aumentando il bottino personale con i successi all'Ambrosiana Inter ed al Bologna. Ovviamente è stato protagonista anche dei due titoli Mondiali vinti dall'Italia di Pozzo nel 1934 e nel 1938, ma in Cile è poco più di una comparsa. Diciamo che lui e Mazza hanno due modi diversi di intendere il gioco del calcio, e sarà proprio lui a confessare di aver lasciato carta bianca a quell'insolito collega.
Ora invece, alla guida della nazionale c'è Edmondo Fabbri. Il bolognese che ha portato il Mantova in Serie A al termine di un quadriennio fantastico, è il fresco vincitore del premio "Seminatore d'Oro", che oggi è conosciuto come la "Panchina d'Oro", e sarà lo sfortunato condottiero nel Mondiale inglese del 1966, quello della famigerata Corea. Sandrino Mazzola ha ventuno anni, ha esordito in amichevole contro il Brasile di Pelè quelche mese prima, nel suo stadio, a San Siro, andando anche in gol. Quella con l'Unione Sovietica tuttavia è la prima gara ufficiale e quando è il momento di andare sul dischetto non si tira indietro; il ragazzo di personalità ne ha abbastanza, e di lì a qualche anno vincerà praticamente tutto con la casacca nerazzurra.
Manca poco più di mezzora alla fine e, a dire il vero, la qualificazione è già compromessa: i sovietici sono avanti di una rete e possono gestire agevolmente il due a zero maturato nella gara di andata. Fatto sta che quello che esce dal piede di Sandrino è un piattone docile e piuttosto centrale che il portierone sovietico addomestica andando addirittura in presa. "Quel giorno il mio tiro andò dove voleva lui". Pochissime parole che rendono al meglio l'idea di cosa volesse dire trovarsi di fronte Lev Yashin. La leggenda poi, racconta che dopo ogni rigore parato riuscisse a trovare un quadrifoglio nei pressi della propria porta; non ne siamo certi, ma è probabile che quel pomeriggio, all'Olimpico, le cose andarono proprio così.
Il 1963 è il suo anno. Innanzitutto mette in bacheca il quinto campionato conquistato con la casacca della Dinamo Mosca, l'unica, insieme a quella della Nazionale, che abbia mai indossato. A fine carriera i titoli saranno otto, aggiungendo anche le tre coppe nazionali, vale a dire quasi il cinquanta per cento del fatturato totale dei biancoblu in oltre uun secolo di storia, e no, non può essere un caso. Ma il riconoscimento più grande arriva qualche giorno prima di Natale, direttamente dalle pagine di France Football.
Il giornale transalpino istituisce il premio da assegnare al miglior calciatore europeo che più si è distinto nel corso dell'anno solare, nel 1956, l'anno in cui si conclude la prima edizione della Coppa dei Campioni. Una giuria di 16 giornalisti, provenienti da altrettanti paesi del Vecchio Continente, sono chiamati ad indicare una personale classifica formata da cinque giocatori, ai quali viene poi assegnato un punteggio. Il migliore si aggiudicherà il prestigioso Pallone d'Oro.
La prima edizione la vince sir Stanley Matthews ormai prossimo ai quarantadue anni (!), precedendo sul filo di lana la Saeta Rubia, Alfredo Di Stefano, che ha appena alzato la prima Coppa dei Campioni (di cinque) con il Real Madrid e che entra a far parte della rosa dei selezionabili grazie al doppio passaporto argentino e spagnolo.
Attenendosi, più o meno, agli attuali parametri di assegnazione del premio, l'edizione del 1963 sarebbe dovuta essere sostanzialmente una corsa a due tra Josè Altafini e Gianni Rivera. Il Milan del paròn Nereo Rocco e di capitan Cesare Maldini, conquista a Wembley la prima Coppa dei Campioni della sua storia, e della storia del calcio italiano, spezzando l'egemonia ispanico-portoghese che aveva visto imporsi il Madrid, nelle prime cinque edizioni, ed il Benfica nelle ultime due. A Londra, proprio contro il Benfica di Eusebio, che porta in vantaggio i suoi in avvio di gara, sono loro due a ribaltarla: Rivera è la mente, Altafini il braccio. Una doppietta dell'italo-brasiliano stende i portoghesi e lui si porta a casa anche il titolo di capocannioniere grazie alle quattordici reti realizzate in tutta la manifestazione.
Ma se nella classifica finale il "Golden Boy" centra comunque il secondo posto, fa specie l'esclusione dalla top ten di Altafini, preceduto anche da Bobby Charlton, Trapattoni, Luisito Suarez, dai tedeschi Seeler e Schnellinger, da Eusebio, Law e Jimmy Greaves.
Il migliore di tutti però è Yashin, ed il primato non è nemmeno lontanamente in discussione. Ha già vinto l'Europeo del 1960, anche se in quella edizione del Pallone d'oro vinta da Suarez centra solamente il quinto posto, sfiorando il podio l'anno dopo quando il premio viene assegnato ad Omar Sivori, ed ora, a trentaquattro anni già compiuti arriva l'ennesima consacrazione a livello mondiale.
bimbo prodigio
La vita di Lev Yashin è ricca di aneddoti curiosi, alcuni veritieri, altri divenuti ormai leggenda, ed uno di questi riguarda la sua infanzia.
si dice infatti che in tempo di guerra, quando era costretto a lavorare in fabbrica, per sostiture coloro che venivano richiamati alle armi, i suoi colleghi (o suo padre, a seconda delle varie versioni) gli lanciassero per gioco dei bulloni e lui, con un'abilità ed una destrezza straordinaria, riuscisse a prenderli tutti, senza mai farne cadere uno.
riflessi da felino e presa d'acciaio: tutte doti che gli sarebbero tornate utili in campo.
"Un bicchiere di vodka per tonificare i muscoli ed una sigaretta per rilassare i nervi".
rispondeva così yashin, a chi gli chiedeva quale fosse il suo segreto.
una sorta di motto che diventa una pericolosa arma a doppio taglio al mondiale cileno del 1962.
Al ritorno dal sudamerica scopre che molti tifosi ce l'hanno con lui per l'eliminazione ai Quarti di Finale contro il Cile, anche se le critiche arrivano soprattutto dopo il 4-4 ottenuto contro la Colombia.
Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano appassionato di calcio nonché una delle personalità più autorevoli della letteratura sudamericana, riprenderà proprio le sue parole al termine di quella partita, sottolineando come quella volta, probabilmente, avesse esagerato con la vodka.
lui e galeano
Lo vince tardi il Pallone d'Oro, sì perchè anche se sembra incredibile, inizia tardi la sua carriera. A dodici anni non gioca a pallone come tanti suoi coetanei dovrebbero fare, ma lavora in fabbrica, sostituendo coloro che sono richiamate al fronte. Nell'estate del 1941 infatti Hitler, dopo un paio di campagne lampo in Grecia e Jugoslavia, mette a punto l'Operazione Barbarossa. Spedisce un contingente spaventoso di quasi tre milioni e mezzo di uomini sul confine sovietico e nei successivi quattro anni, in quei luoghi, si scriveranno alcune dell pagine più tristi e sanguinose dell'intera storia dell'umanità .
L'occasione arriva poco dopo il compimento dei vent'anni, ma lui fallisce. Fallisce clamorosamente. Entra a far parte della Dinamo Mosca, la squadra controllata dal Ministero degli Affari Interni, dove arriverò a guadagnare anche quanto un sergente del KGB stando ad una della tante leggende che circondano la sua vita, ed alla prima amichevole, dopo un'uscita alta apparentemente semplice, si scontra con un suo compagno di squadra, subendo gol addirittura sul rinvio del portiere avversario. Una situazione tragicomica. Qualche tempo dopo ha la responsabilità di sostituire Khomic, il portiere titolare che ha un certo peso in questa storia, e più avanti capiremo il perchè, in una gara di campionato, ma ne combina un'altra e per i dirigenti della Dinamo è abbastanza.
Per un bel pezzo non verdrà più un campo di calcio perchè la squadra moscovita è una polisportiva ed a quelle latitudini il calcio non è lo sport dominante, ci sono anche altre discipline con discrete tradizioni, come l'hockey su ghiaccio ad esempio. Ecco, Yashin viene spedito proprio lì, diventa il portiere della squadra e si toglie pure la soddisfazione di vincere il titolo del 1953. Fortunatamente, per il gioco del calcio, si intende, l'anno dopo Khomic è nuovamente infortunato, e stavolta si tratta di qualcosa di più serio. Qualche dirigente si ricorda di quel ragazzone alto e un po' sbadato, e decide di dargli un'altra chance, l'ultima. Non ne avrà bisogno di altre perchè da quel momento i pali della Dinamo Mosca diventano casa sua più o meno per i successivi quindici anni, e di Khomic si dimenticheranno tutti in fretta.
Già ma chi è Khomic? Alexei Khomic ha nove anni in più di Yashin ed esordisce nella Dinamo Mosca a metà degli anni Quaranta. Di lui però si parlerà ben presto anche al di fuori dei confini sovietici. Nel 1945 la squadra parte per una tourneè in Gran Bretagna, durante la quale affronta il Chelsea, il Tottenham, i Glasgow Rangers ed un Arsenal arricchito dalle presenze del centravanti del Blackpool Stan Mortensen e da Stanley Matthews, sì, quello che vincerà il primo Pallone d'Oro. Khomic è semplicemente straordinario, soprattutto ad Highbury ed in Scozia, e si guadagna subito l'appellativo di Tigre. Con la Dinamo vince un paio di campionati, poi un brutto infortunio spiana la strada a Yashin ed è costretto a cambiare aria. Chiude la carriera a Minsk con il rammarico di non aver mai vestito la maglia della selezione sovietica: d'altronde a cavallo della Seconda Guerra Mondiale in Unione Sovietica esistono problemi ben più urgenti da risolvere, di quello di allestire una squadra nazionale. Ma quando il commissario Tecnico Boris Arkadyev decide di convocarlo per le Olimpiadi di Helsinki del 1952, è ancora un infortunio a sbarrargli la strada. Finita la carriera diventa allenatore ed insegnante di educazione fisica. Di lui però ci si ricorderà soprattutto per i dieci anni passati a bordo campo come fotografo sportivo.
Ma torniamo a Yashin. Di fatto diventa professionista a venticinque anni; tanto per fare un esempio Gigi Buffon, a quell'età , ha già otto campionati di Serie A alle spalle, una quarantina di presenze in Nazionale, sette trofei in bacheca e la Juventus lo ha pagato 75 miliardi per strapparlo al Parma. Insomma, deve recuperare il tempo perduto, ed il primo grande appuntamento in calendario sono le Olimpiadi di Melbourne del 1956.
Durante i Giochi australiani la beniamina locale Betty Cuthbert domina la velocità vincendo 100m, 200m e la staffetta 4x100m, Carlo Pedersoli raggiunge la semifinale dei 100m stile libero (la maggior parte di noi conosce questo ragazzone napoletano con il suo nome d'arte, vale a dire Bud Spencer...) e soprattutto si assiste al tristemente famoso "Bagno di Sangue", la sfida di pallanuoto tra Ungheria ed Unione Sovietica sfociata in una clamorosa rissa.
Nel 1956 i rapporti tra le due nazioni sono tesissimi e l'inizio delle Rivoluzione Ungherese è un fatto storico determinante anche per quanto riguarda il torneo di calcio. Poco prima dell'inizio si ritirano, per motivi vari, la Cina, l'Egitto, la Turchia ed il Vietnam, ma il forfait più importante è proprio quello ungherese. I magiari hanno trionfato agli ultimi Giochi di Helsinki, due anni dopo hanno raggiunto la finale del Mondiale venendo sconfitti in maniera rocambolesca dalla Germania Ovest e, onestamente, nessuno sembra poter togliere loro il secondo oro olimpico consecutivo. Ma quando a Budapest scoppia la guerra, la Honved di Puskas, che rappresenta la spina dorsale della Nazionale, e che è appena stata eliminata dalla Coppa dei Campioni per mano dell'Athletic Bilbao, decide che forse è meglio non rientrare in patria, e parte per una serie di amichevoli in giro per l'Europa nell'attesa che le cose si sistemino.
Di fatto il torneo olimpico perde i favoriti d'obbligo ed il livello tecnico di tutta la manifestazione ne risente parecchio. L'Unione Sovietica arriva in finale battendo di misura la Germania Unificata, nemmeno lontana parente della Germania Ovest campione del mondo in carica, l'Indonesia, solamente al replay, dopo lo zero a zero della prima gara (a quel tempo non erano previsti i calci di rigore), e la Bulgaria, sconfitta ai supplementari. Più agevole invece il cammino della Jugoslavia che ne rifila nove agli Stati Uniti e quattro all'India, presentandosi alla finale con il capocannoniere del torneo, tale Todor Veselinovic, un'ala sinistra niente male che nel 1961 sbarcherà a Genova, sponda Samp, insieme ad un connazionale che farà la storia dei blucerchiati una trentina d'anni dopo: Vujadin Boskov.
Sul tabellino della Finale ci finisce Anatolij Michajlovic Ilyin, attaccante e bandiera dello Spartak Mosca, che di testa realizza il gol decisivo in avvio di ripresa. Ma decisive sono anche le parate di Yashin che raccoglie così il primo grande trofeo a livello internazionale.
tra le stelle
Tra tutti i premi ed i riconoscimenti ricevuti da Yashin durante, ed al termine della sua carriera, il più bizzarro arriva da un'astrologa Ucraina (piuttosto singolare pensando agli attuali rapporti tra le due nazioni).
Lei è Ljudmyla Zuvalova ed il 2 Ottobre 1978 scopre un asteroide e decide di dedicarlo proprio al portierone sovietico. Quell'astro infatti prenderà il nome di 3442 Yashin.
pioggia di premi
Non solo in campo, ma anche al di fuori, al termine della carriera agonistica, Lev Yashin continua a ricevere dei premi.
Nel 1986 dal CIO riceve L'Ordine Olimpico e nel 1988 invece, la FIFA decide di consegnargli l'Ordine al Merito, la massima onoreficenza dell'organo calcistico mondiale.
Se nel mondo è riconosciuto come simbolo globale, ovviamente in patria tutti stravedono per lui. E infatti arriva anche la medaglia di Eroe del lavoro Socialista.
Dopo la sua morte la FIFA istituisce, a partire dal 1994, il Premio Yashin, un trofeo da assegnare al miglior portiere di una fase finale dei Mondiali. Lo vinceranno Michel Preud'homme, Fabien Barthez, Oliver Kahn, Gianluigi Buffon, Iker Casillas e Manuel Neuer.
Il debutto mondiale, in Svezia nel 1958, arriva quando ha 29 anni. La squadra di Gavriil Kacalin, autentico guru del calcio sovietico, viene inserita nel Gruppo 4 insieme all'Austria, all'Inghilterra, contro la quale sarà necessario uno spareggio per il passaggio del turno, ed al Brasile di un ragazzino che di anni non ne ha nemmeno diciotto, ma di lui si sentirà parlare parecchio in futuro. Si chiama Edson Arantes do Nascimento, ma tutti lo chiamano Pelè. Il cammino dell'Unione Sovietica si interrompe ai Quarti, contro la Svezia padrona di casa che in finale, nell'unica finale della sua storia calcistica, si inchinerà proprio al Brasile.
Ancora ai Quarti di Finale, ed ancora contro i padroni di casa, si infrange il sogno sovietico in Cile, nel 1962. Yashin ha anche il privilegio di assaggiare le maniere forti dei sudamericani già esibite nella gara contro l'Italia.
Decisamente migliore invece il torneo del 1966, in Inghilterra, dove l'Unione Sovietica raggiunge quello che, ancora oggi, è il miglior risultato di sempre: un quarto posto. Le speranze di finale si infrangono contro il muro tedesco e le reti di Haller e Beckenbauer, mentre il podio sfuma nei minuti finali della gara contro il Portogallo di Eusebio. Infine a Messico 1970 Yashin ha ormai quarantuno anni e, nonostante prenda parte alla spedizione, non metterà mai piede in campo.
L'impatto sui Campionati Europei è devastante. Nel 1960 arriva quel titolo, conquistato in finale contro la Jugoslavia in una sorta di remake di Melbourne 1956, che ancora oggi è l'unico di tutta la storia dell'Unione Sovietica/Russia. Quattro anni dopo invece è la Spagna di Luis Suarez a negare un bis che avrebbe del clamoroso.
E' interessante però soffermarsi sull'edizione del 1960, di fatto la prima mai disputata. L'idea di un Campionato Europeo destinato alle nazionali arriva addirittura un ventennio prima, ed a teorizzarla è Henri Delaunay, segretario generale della federcalcio francese prima e della neonata UEFA nel 1954 poi, con l'intento di sostituire la Coppa Internazionale, una manifestazione nata negli anni Venti e riservata alle selezioni dell'Europa Centrale. Come spesso è accaduto nella sotria del calcio, sono sempre i francesi ad avere le idee migliori: vedi Jules Rimet, il papà della Coppa del Mondo, o Gabriel Hanot, il giornalista dell'Equipe "corresponsabile" della nascita della Coppa dei Campioni. Purtroppo Delaunay non riuscirà a veder realizzato il suo progetto, morirà infatti nel 1955, ma il trofeo, realizzato dal figlio Pierre, porterà comunque il suo nome.
Ai nastri di partenza si presentano in diciassette, ma le assenze sono parecchie e parecchio pesanti. Mancano gli inglesi, da sempre piuttosto restii a conformarsi con il resto del continente, la Germania Ovest e anche l'Italia. D'altronde sta per concludersi l'ultima edizione della Coppa Internazionale e gli impegni da gestire iniziano a diventare troppi. Così allo Stadio Lenin di Mosca, nel settembre 1958, inizia il torneo con la vittoria dell'Unione Sovietica sull'Ungheria, ed ai Quarti di Finale si potrebbe assistere alla prima grandissima partita proprio tra i sovietici di Yashin e la Spagna di Alfredo Di Stefano. Si potrebbe, appunto, perchè nonostante le grosse pressioni esercitate dalla federcalcio spagnola, il Generalisimo Francisco Franco si rifiuta di mandare i suoi a Mosca e gli uomini di Kacalin si ritrovano tra le migliori quattro insieme a Francia, Jugoslavia e Cecoslovacchia.
La fase finale si gioca in Francia ed il sorteggio mette di fronte i transalpini alla Jugoslavia da una parte, l'Unione Sovietica alla Cecoslovacchia dall'altra. La Jugoslavia batte con un pirotecnico cinque a quattro una Francia priva di due fuoriclasse assoluti come Raymond Kopa e Just Fontaine; l'Unione Sovietica, trascinata dalla doppietta di Valentin Ivanov, supera senza troppa fatica la Cecoslovacchia di Josep Masupust. La finale è davvero equilibrata: Galic la sblocca per la Jugoslavia, Metreveli pareggia e anche grasie ad un paio di parate stratosferiche di Yashin si arriva ai supplementari. A sette minuti dalla fine arriva il gol decisivo di Viktor Ponedelnik che consegna il trofeo ai sovietici.
La grandezza di Yashin però, va oltre i trofei conquistati. E' uno dei primi a trasformare, modernizzandolo, il ruolo del portiere. Non solo è quasi imbattibile tra i pali, ma partecipa in modo attivo alla manovra della squadra. Esce, esce spesso, organizza al meglio la fase difensiva coordinando i movimenti dei difensori, è abilissimo con il pallone tra i piedi ed è sempre il primo ad impostare la nuova azione offensiva. In Inghilterra lo ribattezzano un "attacking goalkeeper", e tra i suoi più grandi estimatori c'è nientemeno che Bobby Charlton.
Nel 1985 una tromboflebite, l'anticamera del tumore allo stomaco che lo stroncherà nel 1990 a soli sessant'anni, lo costringe all'amputazione di una gamba, ma tre anni doop fa parte dello staff che coglie l'oro alle Olimpiadi di Seul. Per lui, e per l'Unione Sovietica, è il secondo oro dopo quello di Melbourne. E anche stavolta, non può essere solamente un caso.